SONO LA TUA SCHIAVA CON IL MAZZO, TU DI ME DIVENTERAI PAZZO! Capitolo DIECI


Autobiografia trans di Lisa P.

NOTA In esclusiva assoluta, ilpornale.it pubblica questo eccezionale documento autentico. Una giovanissima trans italiana racconta in dettaglio come è avvenuta la propria metamorfosi da maschio in transessuale. Un documento umano di grande attualità.

CAPITOLO DECIMO

Ada continuava a restare in silenzio nonostante il fatto che non l’avessi imbavagliata. Forse il collare la stringeva davvero molto, ma questa ipotesi non mi convinceva del tutto. Si trattava, infatti, dello stesso collare che avevo portato io la sera precedente e ricordavo bene di non avere avuto, con quello, alcun problema. Più probabilmente, Ada restava in silenzio per vedere come si sarebbe evoluta la situazione e meditando certamente qualche stratagemma contro di me. Per ogni evenienza, avevo ordinato a Hugo e Oscar di restare vicini alla schiava. – Signori schiavi della giuria popolare – esordii – la vostra padrona con cazzo e fica vi chiede di giudicare questa troia bastarda come colpevole o innocente, dopo avervi ricordato che la stessa è colpevole e chiunque si azzardasse a considerarla innocente riceverebbe immediatamente cinquanta frustate sul cazzo o sulla fica. Feci una pausa, facendo ballare il mio cazzo nudo in direzione di Oscar, che arrovesciò gli occhi per l’emozione, e subito, rivolgendomi proprio a lui, gli chiesi: – Allora, avvocato difensore, come dobbiamo considerare la sua cliente? – Colpevole, Padrona. Senza dubbio è una delle più schifose e putride creature che si siano mai viste sulla faccia della terra, Padrona. Io, che sono l’avvocato difensore, propongo tuttavia una pena mite: che le venga tagliata la fica con un trinciapolli, in modo da asportare completamente quell’orribile scopiazzatura di cazzo, che continua, anche ora, a mostrarsi, perfettamente duro, forse sperando di corrompere questi incorruttibili giurati, Padrona. Fra gli incorruttibili giurati, in quel momento, non pochi stavano leccando fiche sporche di sborra e piscio e culi sporchi di sborra e merda delle colleghe della mamma… – Sentiamo ora che cosa dice l’accusa – e guardai in direzione di Hugo. – Padrona, l’accusa non può che essere d’accordo con la difesa nel considerare questa scrofa immonda, che ha osato non solo insultare e tentare di spodestare la nostra legittima padrona, ma addirittura superarla in troiaggine, come un pezzo di merda avariata. Ci sembra tuttavia troppo mite la pena chiesta dall’avvocato della difesa.

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Propongo che la bastarda venga gettata in mezzo ai giurati e che questi ultimi la facciano letteralmente a pezzi, Padrona! – Che cosa ne pensa la giuria? – feci, rivolgendomi a quella sconcia assemblea di maiali e di vacche, in cui tutti ormai stavano frugando dentro bocche, fiche e culi. La prima risposta fu una sonora scorreggia di una puttana, seguita dal rutto osceno di un maiale, che aveva appena digerito la cagata di un’altra porca. Si alzò un vecchio dall’aria di schifoso impenitente. Quel movimento improvviso costrinse la troia che lo stava spompinando, inginocchiata per terra fra le sue gambe, ad alzarsi mostrandomi il buco del culo. – Padrona, la giuria dopo avere a lungo riflettuto e dibattuto attentamente il problema – disse l’uomo, facendo con una mano un gesto che indicava una troia a gambe larghe su un divano, con quattro maschioni che litigavano fra loro per un diritto di precedenza nel succhiarle il grilletto e il buco del culo – ha finalmente preso una decisione all’unanimità, Padrona. Noi proponiamo di bruciarle il grilletto ed estrarle tutti i denti. In questo modo, le riuscirà più facile leccare le fiche, chiuderle il buco del culo e crearle un buco di passaggio dall’intestino, in modo che le sia consentito cagare dalla fica, spaccarle le ginocchia, in modo che non possa mai più reggersi in piedi, e infine mozzarle le orecchie, che sono troppo grandi e simmetriche, e di conseguenza ci disturbano, Padrona! L’uomo si sedette e con lui ritornò a sedersi sul pavimento la troia che lo aveva seguito, riprendendo a spompinarlo di buona lena.

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– Che cosa dicono i cancellieri? – chiesi allora, rivolgendomi a mia madre, a mio padre e a zio Gustavo. Fu mia madre a rispondere. – Padrona con il cazzo e con la fica, immensamente belle e immensamente buona, noi concordiamo perfettamente con le lucide e attente analisi, fatte sino a questo momento da questi esimi colleghi, della personalità dell’imputata e delle sue gravi colpe. In quel momento, Ada aprì la bocca per parlare, ma Oscar, l’avvocato difensore, le rifilò immediatamente due ceffoni in faccia, costringendola a tacere. – Come abbiamo appena visto – proseguì mia madre – l’imputata ha un carattere ribelle e solo l’intervento dell’avvocato della difesa ha impedito che rivolgesse altri insulti alla nostra padrona. E tuttavia esortiamo la nostra padrona a una analisi maggiormente aderente ai principi della troiaggine storico-dialettica. Questa schifosa possiede in banca più di quattrocento mila euro. Per prima cosa, bisogna impadronirsene e, per riuscirci, occorre che la bastarda firmi un assegno. Se la facciamo a pezzi, non potrà farlo. Questa bastarda possiede cinque appartamenti di lusso, che dovranno esserle confiscati. Per questa operazione sarà indispensabile la firma della vaccona su una procura. Se la facciamo a pezzi non potrà farlo.

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Questo pezzo di merda con la fica possiede dieci automobili di lusso, che andranno anch’esse confiscate. Per questa operazione servirà la firma di questo rottame merdoso nelle volture. Se la bruciamo, non potrà firmare. Ma non basta. Questa vacca merdosa possiede l’unico grilletto al mondo, di femmina umana, lungo quindici centimetri. Potremo farla esibire e di certo molta gente sarà disposta a pagare per poter ammirare e succhiare un simile prodigio. Se le tagliamo il grilletto non potrà più farlo. Per tutte queste ragioni, Padrona, questa corte di cancelleria ritiene che sia preferibile non infierire sul corpo della bastarda, ma limitarsi a costringerla a una lunga prigionia per ottenerne la collaborazione, Padrona… Quanto a me, stavo riflettendo rapidamente. Al solito, mia madre aveva ragione. Feci ballare il cazzo in tutte le direzioni e poi feci un gesto a Oscar e a mia madre, facendo loro capire di avvicinarsi. Dialogai a bassa voce con loro per un paio di minuti e poi dissi all’assemblea: – Signori della corte, grazie per la collaborazione. L’imputata sarà ora condotta in luogo sicuro per una serie di ispezioni corporali. Mentre i signori della corte tornavano a gozzovigliare oscenamente con le colleghe della mamma, io feci un gesto a Hugo per indicargli di condurre Ada nello stesso luogo in cui ci stavamo dirigendo io, mia madre e Oscar. Si trattava di una stanzetta spoglia, con un solo grande materasso sistemato per terra. Non appena vi fummo giunti, io dissi a Hugo di togliere il collare e la catena ad Ada. Lei, che continuava a tacere, mi guardò per un istante in un modo strano. Forse temeva davvero che io stessi per torturarla.

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E, in un certo senso, era proprio così, ma il discorso della mamma mi aveva fatto capire che esistono torture e torture… Hugo, Oscar e la mamma restarono in piedi, intorno al materasso, per bloccare Ada nel caso avesse tentato di fuggire. Ada rimase perciò in piedi, nuda, davanti al materasso e mi guardava ora con aria di sfida. Io allora mi inginocchiai davanti a lei e cominciai a succhiarle e leccarle avidamente il grosso grilletto, che diventò subito durissimo e palpitante, mentre la baldracca si scioglieva letteralmente, cominciando a muovere il culo sempre più scompostamente. Di scatto, spingendola con entrambe le braccia, la feci precipitare sul materasso e le fui sopra, prendendo tutto il suo grilletto nella mia bocca, alla sessantanove, e spingendo tutto il mio cazzo nella sua. – Dillo, troia – urlai – dillo, che sono io la tua Padrona! – Io sono la tua schiava con tette e cazzo – cantilenò lei – ma tu, Padrona, della mia fica diventerai pazza! Si trattava della strofetta di una canzoncina oscena in voga fra i camionisti.

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Che diavolo stava a significare? Ada accettava o no di sottomettersi? Nel dubbio, continuavo a succhiare quella proboscide che aveva in mezzo alle gambe, mentre lei inghiottiva tutto il mio cazzo fino alle palle. In questo modo, essendo io sopra di lei, il mio culo o la mia fica, come preferite, restava ben dilatato e sospeso in aria. Hugo non si fece ripetere quell’invito e mi arrivò alle spalle, infilandomi di colpo il cazzo, completamente, dentro la bernarda. Oscar, a quella vista, si precipitò a succhiargli i coglioni, mentre mia madre si inginocchiava a leccare i piedi di Ada. A partire da quel momento mi è impossibile ricostruire nei dettagli quello che accadde. Ricordo che, a un certo punto, mi ritrovai a infilare il cazzo nel culo di Oscar, mentre baciavo a lingua in bocca mia madre, che era inculata da Hugo, a cui Oscar continuava a leccare le balle, mentre Ada le leccava la fica. Ma Ada non cedeva. Ci guardammo negli occhi, io e mia madre, e, allargate le cosce della baldraccona lesbica, ci lanciammo contemporaneamente con le nostre bocche frementi e le lingue in fuori, assatanate, sul grilletto della schifosa, cominciando a leccarla e succhiarla come vere e proprie invasate. Solo a quel punto e per la prima volta, Ada si mise a urlare, mentre tremava tutta, scompostamente: – Sboooorrrooooo!!! Dalla fica le uscì un fiume di liquido denso che rese fradicio tutto il materasso, mentre la stanza si impregnava di un odore aspro e greve…

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EPILOGO

Sono trascorsi tre mesi da quel giorno e tutto è cambiato. Con tutti i quattrini ramazzati con l’asta, incluse le donazioni spontanee di Ada, abbiamo comprato quel castello che ci aveva portato fortuna e lo abbiamo restaurato. La mamma, papà e zio Gustavo dormono e chiavano insieme. Hugo è tornato nel proprio paese, ma viene a trovarmi una volta al mese, come cliente. Per lui io sono una femmina. Anche Oscar viene a trovarmi una volta al mese, come cliente. Per lui io sono un maschio. Nel grande castello ho di nuovo una camera tutta mia. Ma non vivo sola. Il letto è matrimoniale e ci dormono due persone. Una sono io. L’altra è Ada. Viviamo insieme: a volte io sono la Padrona e lei la schiava, a volte il contrario. Tuttavia… Tuttavia, sul marciapiede, dove facciamo marchette insieme, per i clienti siamo sempre Padrone…       FINE

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